lunedì 31 maggio 2010

Holy words

Noi donne siamo sempre state pittoresche proteste contro la semplice esistenza del buon senso. Ne abbiamo visto i pericoli fin dall'inizio.

Per dire. E non è mica mia, macché.
E' del signore qua sotto. La statua gliel'hanno fatta davanti alla casa natale, a Dublino. Una vera bellezza. Sembra vero.

Anche un po' inquietante, volendo.


P.S. Non è Hugh Grant

venerdì 28 maggio 2010

Soccorrere gli infermi

Azienda ULSS 15
Alta Padovana

SERVIZIO RELIGIOSO

I cappellani portano tutti i giorni la SS. Comunione nei reparti.
Sono sempre disponibili per la Confessione, i Sacramenti degli Infermi e il Dialogo Personale.

ORARIO SS.Messe

S.Messa feriale: ore 17.00 - in cappella
S.Messa prefestiva: ore 17.00 - in cappella
SS. Messe festive: ore 17.00 - in cappella. Ore 10.30 - atrio geriatria

Altri momenti di preghiera
recita del SS. Rosario per gli ammalati
dopo la S.Messa feriale - alle ore 17.30
sabato, domenica, vigilia e feste di precetto alle ore 18.30

Adorazione del SS.Sacramento
Ogni primo venerdì del mese alle ore 15.30

Uhh, che godimento dionisiaco! Sai che risate per i pazienti? L'ospedale già di suo è un luogo che si presta parecchio, ma con questo euforico carnevale quotidiano, girare per i reparti sarà un po' come ancheggiare sfilando nel sambodromo di Rio, no?

E comunque. Si sa che ci sono perversi estimatori del genere, tanto vale farsene una ragione. Solo mi chiedevo: ho capito l'oliata macchina da guerra del perfetto conforto religioso. Ma trombare mai?

Perché c'è gente che trae molto conforto anche da quello. Però scommetto che le puttane non gliele paga lo stato. A differenza dei cappellani.

giovedì 27 maggio 2010

Signs

Giovedì pomeriggio sono andata in spiaggia. Siccome era il primo giorno di sole dai tempi della battaglia di Marengo, con i piedi nella sabbia mi son sentita euforica come una ragazzina. Ero l'unica a crederci. Lì a Sanremo tutti portavano ancora maglioni e giubbotti. Ma io ero in vacanza per cui, ‘fanculo, ho messo il gonnellino con gli zoccoletti e me ne sono andata tutta sola a limonare col tramonto. C’era sole, ma tirava anche un discreto venticello. Allora mi sono seduta con le spalle contro una rete che mi dava un vago senso di protezione, e dopo dieci minuti, senza che me ne accorgessi, è spuntata una vecchietta un po’ surreale con una busta di plastica legata in vita, e mi ha fatto un sorriso trasparente come se ci incontrassimo sempre in quel punto a quell'ora fin dall'origine del mondo. E’ stato bello. Una di quelle cose da piccolo paese, in cui il sorriso va di default perché te lo installano sulla macchina col software di base, per cui dopo non hai bisogno di scaricarti l’ultimo upgrade di merda per ricordarti come si fa a coordinare le labbra in un moto di simpatia che non costa niente e magari alleggerisce perfino il peso di qualche inutile gravame interiore. Ho pensato: ecco, mi piacerebbe diventare una vecchia così. Una che non ha paura della parola vecchia, per cominciare, che già quella non è una roba da ridere. E che si gode la vita fatta di quello che c’è. La spiaggia. Il mare. Il primo sole della stagione. Minuscole immensità. Che ci perdiamo con l’idea che ci sia qualcosa di meglio da fare.

Poi ho chiuso gli occhi e ho cominciato ad andare dietro ai miei pensieri, e dopo un po’ l’ho persa di vista. Alla fine il venticello s’è fatto termicamente impegnativo e allora mi sono tirata su e ho cominciato a camminare tornando molto lentamente verso la scala da cui ero scesa. Passeggiavo parallela al mare che era poco distante, e a un certo punto mi sono resa conto che stavo incrociando di nuovo il cammino della vecchia. Io andavo da nord a sud, lei faceva il contrario, ma con i piedi in acqua. Camminavamo in parallelo, una verso l’altra, separate solo da un striscia di sabbia di una decina di metri. Una bella metafora della vita. Una donna di mezza età che ad ogni passo si avvicina a una vecchia. Una vecchia che viene incontro a una donna di mezza età. Alla fine si incrociano, si guardano, si superano, e continuando a camminare si allontanano l’una dall’altra. Perché per il momento è stata solo un’illusione del tramonto. C’è ancora tempo prima che la più giovane prenda il posto dell'altra. O che l'altra se la venga a prendere. O almeno così se la racconta. Perché sono parole con un suono denso e consolatorio. E perché si vede che lo stadio in cui non le peserà farsi chiamare vecchia non è ancora arrivato. Chissà quale dei due arriverà per primo. Ché in certe questioni la corretta tempistica è tutto.

Con la metafora della vita in testa m’ha preso la curiosità di girarmi e osservare l’impronta dei miei passi. Mi sono voltata e ho visto una cosa che - avessi avuto solo due svanziche di prontezza – avrei fotografato all’istante come sintesi perfetta di un certo andazzo delle cose. Era un percorso storto, sghimbescio, irrecuperabile nella sua distonia, ma assolutamente regolare nella sua mancanza di senso. Le orme del piede destra colpivano la sabbia ortodosse ed equidistanziate come un soldatino in marcia nòppiunòpi, e quelle della sinistra sbarellavano con altrettanta regolarità di 40 centimetri almeno, affondando nella sabbia come se ogni passo fossi svenuta, o avessi collassato, o qualcuno m’avesse dato uno spintone della madonna, o avessi spazzato via un milione di granelli come una sciancata. Un’andatura da ubriaca, da pazza scellerata. Non ce lo vedete il portato metaforico voi? Io si, e per una buona ragione: perché se me l’aveste chiesto prima di voltarmi, avrei giurato che quella spiaggia l’avevo attraversata dritta come un fuso.

E non è la prima volta nella vita che mi capita di pensare che quasi tutti sanno meglio di me quello che sono, e spesso me lo dicono. Perfino i miei piedi. E’ la mia testa che non c’ha mai capito un cazzo. Cosa insisto a darle retta non lo so.

martedì 25 maggio 2010

Beloved


All growth needs love -- but unconditional love. If love has conditions then growth cannot be total, because those conditions will come in the way. Love unconditionally. Don't ask anything in return. Much comes on its own -- that's another thing. Don't be a beggar. In love be an emperor. Just give it and see what happens... a thousandfold it comes back. But one has to learn it. Otherwise one remains a miser; one gives a little and waits for much to come back, and your waiting, your expectation, destroys the whole beauty of it.

Ecco. In effetti sono ancora abbastanza distante, e a voler essere realisti è possibile che non mi riesca nè in questa e neppure nel corso delle mie prossime 200 reincarnazioni sulla ruota karmica.

Però io voglio arrivare qua.

Voglio-arrivare-qua.

Non ci sono cazzi.

lunedì 24 maggio 2010

Delle imprevedibili ricadute semantiche di un termine all'apparenza di uso comune


trauma [tràu-ma] s.m. (pl. -mi)

1. In psicologia e psicanalisi, forte impatto emotivo che provoca turbamenti psichici

Mi sono messa a piangere, che altro potevo fare? Ho preso al volo due cose per Falco Nathan e sono scesa giù come mi chiedevano di fare. Ho dovuto lasciare la culla, il fasciatoio, le medicine, i prodotti speciali per la pulizia del piccolo. Tutto, insomma. Questa era diventata la sua casa in attesa che finissero la nostra nuova abitazione a Montecarlo, questione di giorni. È stato un trauma per me e per il bambino

Elisabetta, te lo dico serenamente e una volta per tutte.

Vaffanculo te, lo yacht, la casa a Montecarlo, e il panzone brizzolato. Falco Nathan no, per il momento lo salvo.

Ma è solo perché è l'unico che dispone di una giustificazione evolutiva minima. Capirai, il sistema nervoso non ha neanche cominciato a darsi da fare con la mielinizzazione delle fibre, sarà giustificato se ha la reatttività cerebrale di una tazza di tapioca, assume espressioni bolse e bavose, e non è in grado di partorire un solo pensiero di senso compiuto che non risulti in qualche modo offensivo del comune senso del pudore, no?

mercoledì 19 maggio 2010

Non c'è più religione

Premessa n.1

Io di musica non capisco una beneamata cippa. La ascolto, ma non faccio preferenze di merito. Oltretutto ho una passione perversa per certo pop merdaiolo che si presta particolarmente a essere cantato sotto la doccia. A me non sembra male. Ma siccome c'è pieno di gente titolata che quando ne parlo rovescia i globi oculari all'indietro e invoca Satana alzando le braccia sul capo, deduco che non deve essere proprio una robetta da palati sopraffini.

Premessa n.2

Mio marito, non ricordo se ve l'ho mai detto, di mestiere fa il sacerdote del rock. A tempo perso si trastulla come chirurgo, ma è solo per portare a casa due palanche, perché il rock si colloca in posizione nettamente superiore a qualsiasi altro interesse passato presente o futuro.

Giusto 10 minuti fa è uscito di casa e si è messo in autostrada, direzione Udine, per andare a vedere il concerto degli AC/DC, credo unica data italiana per il 2010, e per il quale aveva perso ogni speranza ormai da mesi. Aveva provato con trepidazione a tempo debito, ma pare che al momento dell'apertura dei botteghini online i biglietti siano scomparsi in meno di un'ora, per cui s'era messo l'anima in pace. Poi qualche settimana fa i suoi fratelli hanno fatto il miracolo. Non si sa come, sono riusciti a recuperare 3 biglietti, e dalla faccia che ha fatto prendendoli in mano, ho capito che doveva trattarsi di qualcosa di grande e davvero importante.

Insomma oggi vanno in processione ad assistere alla sacra eucarestia. Mio marito, il fratello di mio marito, e la moglie del fratello di mio marito, incinta di 5 mesi. Quindi a rigore c'è anche mio nipote. Ma lui non paga. E secondo me non è nemmeno abbastanza maturo per apprezzare certe cose, ma tant'è, mia cognata non ha voluto saperne di lasciarlo a casa. Ragazza molto protettiva.

Conclusione

Ora io non ho difficoltà a sottoscrivere che sono cose di cui non capisco una mazza, nè che si tratta di un concerto epocale che sarebbe stato immorale perdersi. Non nego che gli AC/DC siano una band di tutto rilievo nella storia del rock, e che abbiano fatto cose totalmente al di fuori della portata della mia comprensione. Meno che mai mi sogno di sostenere che non meritano tutto l'entusiasmo che suscitano in quelli che credono nel potere salvifico della musica.

Ma, puttana miseria, volete davvero convincermi che sia sensato per un'occasione simile scegliersi come gruppo di supporto Le Vibrazioni? Tanto valeva far introdurre il concerto dal cardinal Tonini sgranante il rosario, che perlomeno ci sarebbe stato il richiamo all'iconografia del teschio tanta cara all'hard rock, e quel minimo di dignità consentita dal plusvalore della dissacrazione.

lunedì 17 maggio 2010

Dei numerosi modi in cui si può raccontare la Bibbia


Ho visto questo film due giorni fa. A me i Cohen piacciono sempre. E quando dico sempre, intendo: sempre. Certe volte di più e altre di meno, ma questo è fisiologico. Quando segui un autore per tanto tempo, e poi vedi quello che credi sia il suo capolavoro - nel mio caso Fargo - poi stenti a cambiare opinione e attribuire lo stesso merito a un film diverso. Invece - sempre nel mio caso - quando ho visto Il Grande Lebowski un poco mi sono dovuta ricredere.

C'è la differenza sensibile che il primo è un apologo senza pietà, e il secondo invece, al contrario, di speranza te ne inocula molta, e quindi ho pensato, date le mie personali inclinazioni: forse è normale che oggi tenda a collocare il Drugo in posizione superiore a Fargo.

Ma poi ho visto A serious man, un film dove Ogni Cosa è Illuminata di luce cupa e desolata, dove il Male trionfa e i poveri di spirito soccombono. Soprattutto un film dove oltre ad ogni singolo attore, ognuno dei quali è perfetto in Cielo in Terra e in ogni Luogo, i Cohen sono riusciti a far recitare espressivamente perfino gli oggetti inquadrati: recitano le riprese nei corridoi, recita l'arredamento così spaventosamente vintage, recita la piscina del motel senz'acqua, in una scena potente come l'episodio di Ulisse che sbarca a Itaca, si vede recitare perfino la schiena di Richard Kind inarcata in un osceno dorso curvo mentre lui ulula: Ashem non mi ha dato un cazzo, Ashem non mi ha dato un cazzo! e farlo con un tale potere di suggestione, che non riusciresti a ottenerlo nemmeno centrifugando uno squadrone di manzi sul modello di Russell Crowe, marinandoli sott'aceto per 40 giorni, e poi distallandone la purissima essenza.

Mi fermavo ad ogni inquadratura dicendo tra me e me: non ci può essere tanta verità in un solo film. Eppure c'è. Ve lo garantisco. Ma non è finita qui.

Mentre scorrevano i titoli di coda, ormai passati i nomi di tutti i tecnici fino all'ultimo fornitore di tramezzini, in fondo alle postille invisibili al popolo di Dio, per giunta in mezzo alle ricorrenze di rito del tipo: fatti e persone narrati in questo film sono puramente casuali ebidibim ebidbum, all'improvviso mi salta agli occhi:

No jewes were harmed on the making of this motion picture

Allora ho capito.

I fratelli Cohen sono Dio.

domenica 16 maggio 2010

Speechless


Duecentomila persone in Vaticano a testimoniare la loro solidarietà al papa. Al papa? Non so, non riesco nemmeno a produrre un commento che sia all'altezza della sperequazione tra vittime, carnefici e promoter dei carnefici. Che magari c'entrano, e magari no. In ogni caso non mi sembrava fossero i più legittimi destinari di un eventuale supplemento di solidarietà.

Comunque gli striscioni in piazza dicevano: Non abbiate paura Gesù ha vinto il male!

Come no, contenti morti siamo. Una botta di culo. Pensa un po' in caso di pareggio o sconfitta che cazzo poteva succedere.

mercoledì 12 maggio 2010

Divorato dalle contraddizioni

Don Gallo si confessa: I miei peccati carnali

Come non essere d'accordo?

Tuttavia sono del parere che fino a quando certi liberi pensatori in tonaca troveranno spontaneo riferirsi al sesso usando espressioni tipo peccare carnalmente, per tutti quelli che attendono il secondo avvento di un sano sviluppo della vita sessuale dalle parti del Vaticano, converrà ancora armarsi di santa pazienza.

Poco male. Fortuna che ci abbiamo fatto il callo.

Non è che tutti dobbiamo essere per forza John Nash

Tra i miei compiti in biblioteca da qualche tempo c'è anche quello di Sacra Vestale degli Strumenti di Assessement e Valutazione. Insomma, i test. Che sono documenti particolarmente delicati. Primo, perché mediamente costano un fracco di palanche e quindi si danno in prestito solo a persone fidate previa adeguate garanzie, e secondo perché la loro somministrazione implica parecchie ricadute di natura deontologica. Va verificato che chi accede al prestito o alla consultazione per motivi clinici, abbia una vaga idea di che cacchio sta facendo quando effettua una psiodiagnosi anche tramite un test, perché se poi sbaglia nell'interpretare i risultati, il rischio di far danni è grave e oneroso.

Insomma ieri mi è capitato tra le mani l'item di un test in rete, questo qui:


Il test è un software, ed è destinato alla fascia scolastica elementare. Serve a valutare ed eventualmente implementare le abilità matematiche degli studenti di quella fascia di età. Allora mi sono ripensata bambina, e ho cercato di immaginare come avrei reagito io - che ho sempre schifato la matematica ai massimi livelli - di fronte a domande di questo tipo.

Prendetemi ad esempio la numero 3. Lucia ha 5 sacchetti con 8 figurine ciascuno. Con lei giocano anche Giacomo e Antonio. Quante figurine ha Lucia?. Ecco, a me una cosa di questo genere m'avrebbe scatenato il panico. Avrei cominciato a chiedermi: perché mi tiri fuori Giacomo e Antonio? A cosa mi serve la nozione della presenza di Giacomo e Antonio ai fini del calcolo delle figurine di Lucia? Voglio dire: mi nomini Giacomo e Antonio, ma nello stesso identico modo avresti potuto dire Lucia ha 5 sacchetti con 8 figurine. Nel cortile del palazzo accanto si sta svolgendo il Concilio di Calcedonia con 354 metropoliti convenuti da tutto il Mediterrano. Quante figurine ha Lucia? . Perché concettualmente l'evento non dovrebbe avere ricadute sul numero di figurine che ha Lucia, no? Eppure me lo citi. Dunque c'è qualcosa che mi sfugge. Giacomo e Antonio sono seguaci del mago Zurlì e potrebbero far scomparire alcune delle figurine di Lucia inficiando il risultato finale? Cosa c'è che non so e che potrebbe mandarmi in vacca il calcolo? E' una patologia molto nota la psicosi della matematica, sapete? Con tanta letteratura scientifica a supporto.

E insomma per farla breve. Garantito al limone che i calcoli li avrei cannati tutti. Lo facevo comunque, ma ai tempi miei certe cose non c'erano. I bambini non si valutavano coi software. Ti mettevano 3, e morta lì. E in un certo senso credo di poter dire che è stata la mia fortuna. Perché se ci fossero stati oggi non sarei qui, ma in qualche tristissimo istituto di rieducazione con le pareti dipinte verde-vomito e la statua della Madonnina circondati di fiori, nell'angolo a destra dell'accettazione, appena prima della porta d'ingresso al reparto.

mercoledì 5 maggio 2010

The remains of the place

Siccome oggi è il 5 maggio, per ovvietà poetica continua a tornarmi in mente Napoleone, e ogni volta che mi ricicciano in testa i versi:

ei fu. Siccome immobile,
dato il mortal sospiro
stette la spoglia immemore,
orba di tanto spiro


ma proprio ogni santa volta che ci penso, senza eccezioni, non posso far a meno di chiedermi: com’è possibile che l’autore di una simile mesopotamica puttanata possa essere considerato uno dei padri della nostra letteratura?

Perché, se ci pensate, è il distillato del peggio dell’italianità. La retorica a manetta, il parolume gonfio d’aria e di prosopopea, il culto della personalità per un gerarca egocentrico indubbiamente dotato per l’arte militare, ma insomma, che vuol dire? Sarei dell’idea che dopo 5000 anni di civiltà, se proprio vogliamo insistere a chiamarla così, dovremmo sforzarci di limitare la definizione di talento alle cose che se lo meritano davvero.

Poi però è anche vero che sono appena tornata dalla Val d’Orcia, e anche questo è un modo per parlare dell’Italia. Ho guidato lungo la Cassia passando attraverso certe colline di una tale bellezza sensuale che ad ogni svolta avrei voluto scendere e fare l’amore coi campi coltivati, con la terra, con i filari di girasoli. Ho visto chiesette romaniche allegre come comari incorniciate di luce solare, e un polittico di Sano di Pietro che mi ha commossa come se qualcuno avesse scritto una poesia d’amore su quell’altare solo per me. Ho mangiato pasta fatta in casa, ho bevuto – poco – vino rosso e incantatore. Ho passeggiato in un giardino che se Dio l’avesse pensato apposta all’alba del primo giorno del mondo, ancora prima di inventare l’uomo, la donna, e tutte le altre meraviglie del creato, non gli sarebbe riuscito bene come quello in cui mi sono aggirata di prima mattina, mentre il sole era abbastanza alto nel cielo, la temperatura costante e perfetta, e il glicine sulle mura così viola da tramortire.

Lo so da sempre. Che questo è il paese delle contraddizioni. Che è troppo bello per meritarsi di essere abitato da gente consapevole della sua fortuna. Che tutto questo naturale talento per la bellezza, la gioia di vivere, l’esaltazione dell’essenza delle cose che qui è un fenomeno metafisico perché appartiene alla natura come alla cultura, si deve pagare, e che costa caro. A vent’anni lo odiavo, perché mi faceva sentire un’italiana diversa, e profondamente esclusa. Volevo andarmene via, e per poco non l’ho fatto.

Oggi ho cambiato idea, perché mi sento in diritto di restare tanto quanto quelli che su queste benedizioni sputano e bivaccano come maiali in una cattedrale. Ho maturato la mia consapevolezza di italiana, che vuol dire: conosco i meriti del mio paese, e conosco i limiti. Non sottovaluto i primi ma non mi sforzo nemmeno di occultare il resto. E a tutti quelli che quando ti lamenti ti guardano con aria di sufficienza dicendoti: se ti fa tanto schifo allora perché non te ne vai? ho sempre voglia di rispondere: ti piacerebbe. Però no. Sto qua. Difendo la posizione. Siamo una minoranza, può essere. Ma non vi fate illusioni. Non vi lasceremo soli a devastare quel che resta del giorno.